La scrittura sportiva contro l'oblio del tempo: il ricordo di Luigi Ortenzi -

Mi è sempre piaciuto scrivere nei giorni di festa. La sensazione che ho sempre avuto è quella di chi ha l’esigenza di fermare gli istanti di vissuto attraverso le parole che scivolano sul foglio bianco. Mentre gli altri sono impegnati a vivere la vita, è necessario che ci sia qualcuno che fermi le sensazioni di quegli istanti e le racconti.

Scrivere vuol dire anche testimoniare. Cosa ricorderanno i nostri figli dei momenti di vita di oggi se qualcuno non si sarà impegnato a raccontarli, a tradurli in pensieri? Ho scelto di raccontare storie sportive perché lo sport è l’impresa, è la poesia di una fatica che si traduce in vita eroica. È la trasposizione dei racconti di Omero in chiave moderna. È quello che potremmo definire il racconto epico di storie che rimangono nel tempo, sempre ed in eterno.

In questo modo gli scrittori sportivi hanno raccontato le imprese dei grandi eroi di ogni disciplina: Coppi e Bartali, Pietro Mennea e Sara Simeoni, Niki Lauda e Gilles Villeneuve. Poi ci sono le storie dei piccoli eroi. Nel mio sport, la pallacanestro, le chiamiamo minors. Sono quelli che si ritrovano a giocare nelle serie minori, nei campionati regionali, nei campetti di strada. Sono gli amatori, quelli che sono talmente appassionati del proprio sport che ritagliano il proprio tempo, tra il lavoro in fabbrica, la chiesa e la famiglia, per fare canestro in un campo di periferia, tirare calci ad un pallone o uscire la domenica in bicicletta.

Mio zio Luigi era un uomo straordinariamente innamorato della bicicletta.

Era stato anche un bravo atleta da giovane, ma la vita lo aveva messo davanti ad un bivio e negli anni cinquanta emigrò in Inghilterra, mai abbandonando la sua grande passione. Quando ero piccola con papà lo sentivo parlare una lingua che diventò via via più familiare. Si sentivano per telefono in quelle interurbane che avevano un sapore particolare, con la centralinista che selezionava il numero internazionale oltre Manica. Parlavano del Tour de France, del Giro d’Italia, della Milano-Sanremo, del Giro delle Fiandre... raccontavano di nomi che io poi ritrovavo nelle biglie di plastica, metà trasparenti e metà colorate, con le quali giocavo in spiaggia l’estate: Eddy Merckx, Felice Gimondi,  Giambattista Baronchelli, Gianni Bugno, Francesco Moser, Giuseppe Saronni…

Lui era l’esempio di come, nonostante nella vita si scelga di fare un mestiere diverso, lo sport diventa il punto centrale delle tue passioni. E scappava via in bici appena poteva. La campagna inglese deve avergli regalato emozioni e ricordi indelebili. Chiuso il ristorante di famiglia ad Harrow, negli anni 90 tornò in Italia con le sue biciclette. Finalmente a casa, in Abruzzo. Ma la sua amata terra lo tradì una mattina d’estate del 1998. In cordata, in discesa, scoprendo un tornante della Val Vibrata, il gruppo con cui usciva tutti i giorni, incontrò una buca sull’asfalto: non riuscì ad evitarla. Lui ebbe la peggio. Ha vissuto i 19 anni che Dio gli ha donato da vivere, costretto sulla sedia a rotelle. Lo sentivo spesso. Non ha mai perso la sua grande tempra e la sua infinita passione per il ciclismo.

Quando ad ottobre sono stata a Gaiole in Chianti lui era più in fermento di me e mi ha detto che se avesse potuto avrebbe partecipato anche lui: si sarebbe iscritto al percorso lungo, quello da 209 che passa per Montalcino. Me lo sono immaginato con la sua Bianchi classica e la sua maglia azzurra Salvarani. Durante la cena Eroica ho pregato Salvador Esteves di scattarmi una foto con Felice Gimondi solo perché lui la vedesse e perché fosse fiero di me: ero riuscita ad incontrare una delle mie biglie di plastica con cui giocavo da bambina.

Oggi devo anche a lui tutta la forza e l’amore che ripongo in ogni singola parola che scrivo.

Zio si è spento questa mattina. Racconto sempre tante storie su grandi e piccoli eroi dello sport del nostro secolo che hanno coinvolto le nostre vite. Non potevo non raccontare la storia di Luigi Ortenzi. Vi starete chiedendo qual è il messaggio di questa mia nota. Vi accontento subito: raccontate le storie di chi è vicino a voi. Non lasciatele sfuggire via con loro. In ogni famiglia, in ogni piccolo nucleo ci sono piccole grandi storie che vale la pena ricordare. Lo sapete per quale motivo? Per regalare l’eternità a chi avete amato, per non far sfiorire mai i ricordi e lasciarli all’oblio del tempo. Mio zio è vivo e so perfettamente che ora è libero da quel suo corpo che era diventato un peso, una gabbia, e si starà lanciando in picchiata sulle strade sterrate del paradiso. Avrei voluto farmi raccontare qualche impresa in più: è questo il mio unico rammarico. Voi non lasciate che questo accada.