Latina - Reggio Calabria: ricordi, amore, pallacanestro e il 3x3 -

Ho iniziato a tirare a canestro a 7 anni. Non ho ricordi precisi dei primi allenamenti ma rammento bene quando entrai per la prima volta nella casetta di legno fuori il pallone dell’AB Latina. Sará stato a cavallo tra il 1975 e il 1976 e sia mio padre che tutti i personaggi che da lì in avanti avrebbero popolato la mia vita, portavano occhiali con montature enormi e basette pronunciate. Ho nella testa tanti volti e tanti nomi. Dal presidente di allora Sergio Iucci a Gianni Gatti, da Felicetto Ferrazza ad Angelo Muzio.

Papá abbracciò quel mondo assieme a me e strinse amicizie che si rivelano ancora solide nonostante siano trascorsi oltre 40 anni. Ad alcuni di loro venne in mente di creare una sorta di “Compagnia dell’Anello”  (l’avremmo chiamata così oggi) i cui unici scopi sarebbero stati quelli di condividere la loro grande passione per la pallacanestro, gettare solide basi per la crescita di quella che era una promettente neonata societá e ritrovarsi nelle trasferte per scoprire ristoranti e luoghi da visitare.

Già, perchè per loro ogni trasferta, che si vincesse o si perdesse, era in ogni caso un’avventura.

Era la P7. Cavalcanti, Orlandi, De Bernardis, Donatacci, Serko, Riccardi, Paparcone, Apostolico, Ferrante… negli anni i nomi si sono aggiunti e sottratti, a volte per il destino di un’assenza prematura, ma i reduci sono ancora qui, uniti nei ricordi. Naturalmente anche noi figlie e figli di questi padri sportivi, siamo rimaste connesse e collegate ad un filo tenero e malinconico, che ci rende un po’ sorelle e custodi di ricordi preziosi.

Stefania mi racconta del taccuino del papá Vittorio, con tutti i numeri di telefono dei ristoranti visitati dalla P7 nel corso degli anni. Vittorio prenotava a nome di un fantomatico Ing. Ferrari: una goliardata attorno alla quale si ricamano storie e leggende.

E mentre i padri si adoperavano nella crescita della nostra AB Latina, noi ragazzi venivamo su a pane e pallacanestro. Io e mio fratello non ci accontentavamo degli allenamenti: mentre papá era impegnato a chiacchierare di basket con gli amici nella casetta di legno, noi tiravamo al canestro fuori nel piazzale davanti le docce. Perchè non ci bastava mai.

Oggi, a distanza di tanti anni, ho capito che se ami questo sport non ne hai mai abbastanza.

Io non mi accontento di guardarlo in TV, lo devo vivere sul campo. Per questo ho scelto questo lavoro. Un percorso fatto di trasferte, ore e ore a scrivere, occhi lucidi di stanchezza dopo un torneo con più di 100 partite, fatica e frustrazione per le piccole cose che non riesci a fare bene come vorresti e poi le gioie. La gioia e il cuore a mille quando sono arrivata sul campo con la Nazionale la prima volta e la ricompensa, il regalo più grande, quello di avere voglia di tirare ancora a canestro come 40 anni fa.

Mentre scrivo sto scendendo a Reggio Calabria. Vado a guardare quello che per me è l’essenza dell’amore di tutti i cestisti: #NTC Summer League, il torneo 3×3. La scusa è un seminario a margine dell’evento. La verità è che voglio scendere in campo e dire bravi a Luca Laganà e a tutto il team della #NTC perchè quello di Reggio è sicuramente uno dei tornei più suggestivi dello stivale. Lo so bene cosa c’è dietro l’organizzazione di un evento del genere. L’ho vissuto per anni nella mia provincia, figuriamoci in una grande cittá come Reggio Calabria.

Pubblicato da Ntc Summer League su Sabato 14 aprile 2018

Ma poi ci si chiede perchè tanta fatica, tanto sacrificio, tanto sbattimento. Lo capisci guardando quegli occhi sereni. È il basket, l’amore per questa palla a spicchi, la speranza mista a certezza che fino a quando ci saranno canestri per le strade, nei campetti di quartiere, nei giardini pubblici, sulle spiagge, ci sarà ancora chi ricorderà storie come quella della P7 o come quelle che il collega Stefano Urgera sta raccontando per il Messaggero.

C’è una spiegazione a tanto amore? È come chiedere a chi ama perdutamente il perchè. Sono le lacrime che scendono quando canti l’Inno con la mano sul petto, chiudi gli occhi e senti la palla, le scarpe, il fischio dell’arbitro, la sirena dei 24.

E capisci che sei a casa.

Ovunque nel mondo.

A casa.