“We’re trying to tell those kids, hey, you build your brand or you break your brand down. You are who you are through social media. I always say, hey, look. I’m not going to hold my team back from Twitter, Facebook, but I’m going to teach them. I’m gonna use it for a positive. And, I don’t read one response on Twitter or Facebook. I don’t read one. So, if you come back, there are a lot of bullies and haters on Twitter, I don’t read them, I don’t see them.”

John Calipari

Vi sembra una citazione di poco conto? Credo di no. Questo è lo specchio di cosa succede oggi in rete.

Ed è l’atteggiamento che bisognerebbe utilizzare per far comprendere agli atleti come costruire la propria brand identity sui Social (il Coach si riferisce a Facebook e Twitter ma io aggiungerei anche Instagram spesso utilizzato con troppa leggerezza).

E’ indubbio che il discorso di Calipari, rilasciato durante una delle trasmissioni di Mike&Mike il talk show sportivo americano di ESPN radio, si riferisce ad un audience più smaliziata, che ha già sdoganato il concetto “la vita reale E’ sui social”.

In Italia questa consapevolezza tarda a radicarsi e gli atleti si danno in pasto al pubblico ed ai tifosi con troppa facilità, compromettendo il proprio lavoro ed anni di sacrifici sui campi.

Spesso i Presidenti, o chi per loro, monitorano le attività dei profili personali social degli atleti infrangendo, secondo il mio personale parere, le regole basilari della privacy.

Ma sfido chiunque a negare l’amicizia al proprio Presidente

ed in ogni caso c’è sempre chi riporta, analizza, fa vedere le conversazioni, i commenti, gli atteggiamenti. Non può far bene allo sport ne’ l’atteggiamento di controllo sulla vita privata dei ragazzi, ne’ l’atteggiamento troppo spregiudicato di chi indossa una maglia e deve rappresentarla sia nel momento del trionfo che nel momento della sconfitta.

Ma nella Pallacanestro 2.0 non c’è solo la superficie sociale identificata con i siti istituzionali, le fanpage, le pagine personali degli atleti. Ci sono anche delle entità più radicate, più interne che hanno un grande strumento a disposizione: i gruppi chiusi.

Ne esiste almeno uno per ogni club ed in ognuno si intrecciano conversazioni, si criticano allenatori ed atleti e si decidono anche le sorti mediatiche dell’uno o dell’altro. Sono i “Bar dello Sport” con la sola differenza che non ci sono filtri ambientali e che tutti i facenti parte del gruppo possono osservare, leggere, intervenire e riportare anche su conversazioni non sincrone.

Ci sono parole che hanno un peso incredibile sugli eventi.

Condizionano. E chi le pronuncia, talvolta, è un Influencer.

Nella logica dei social, l’Influencer porta ad accrescere la solidità e la credibilità di un brand ma, se la sua influenza è guidata, può indirizzare le conversazioni verso una distruzione dello stesso brand, personale o societario.

Chi sono gli Influencer della pallacanestro 2.0?

Sempre seguendo la logica, tutta italiana, che ci si ritrova a ricoprire la posizione di Influencer senza nemmeno saperne il significato della parola, queste figure si identificano spesso con gli addetti ai lavori con una certa credibilità, stampa locale, uomini della società, tifosi di lungo corso.

Questi sono gli Influencer che sono in grado di indirizzare le conversazioni nei gruppi, sollevare le criticità, alimentarle ed arrivare a creare un problema in particolar modo quando una società è in crisi sportiva, le cose non vanno come dovrebbero andare e bisogna trovare una soluzione che piaccia al proprio pubblico.

Voglio chiudere con un’altra citazione sempre rilasciata durante una delle puntate del programma Mike&Mike questa volta da Tom Izzo:

“It doesn’t matter what you tweet. It’s what you read. That’s what I keep telling my guys. We can control what they tweet, to a certain extent. They’re going to get frustrated sometimes and probably say something stupid. But it’s what they read. If somebody’s writing stuff about your daughter when she’s in high school, I’ll bet you look at it a little differently. I’ve had grown men (my players) in my office in tears because of what’s being written. That’s what brings the frustration level.”

Non è importante quello che scrivi ma quello che leggi.

 

 

Articolo originale pubblicato su Basketinside.com
Foto di Andrea Marocco per www.basketinside.com

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